Romano Levi nasce il 24 novembre 1928.
Orfano del padre a 5 anni, a 17, in seguito alla morte della madre, inizia a distillare con l’aiuto della sorella Lidia.
Sarà il suo lavoro, per tutta la vita.
“Mio padre è morto nel 1933 ed è come non l’avessi mai conosciuto.
Avevo cinque anni e i polmoni avevano appena fatto in tempo a scoprire il respiro della grappa, i miei occhi avevano visto ancora pochi carri attraversare il cortile. L’alambicco è stata l’eredità che ci ha lasciato. Quando morì, la distilleria passò a mia madre che rimase di lì a poco uccisa sotto un bombardamento. Io avevo 17 anni e dovetti prendere in mano l’azienda. Iniziai pensando: tanto è una cosa provvisoria… ! ”.
Romano Levi ha disegnato l’ultima etichetta la sera del 1 maggio 2008. La distilleria è stata la sua vita.
Non ha viaggiato, non ha visto il mondo ma il mondo è andato da lui. Tante pagine sono state scritte, tante persone hanno parlato di lui e delle sue etichette, poco si è detto della sua grappa. Ora che Romano ha lasciato per sempre la sua distilleria, la grappa distillata negli anni riposa nelle bottiglie collezionate dai suoi amici in tutto il mondo.
Ora, finalmente, la Sua Grappa parlerà per lui.
Queste pagine sono dedicate alla sua persona ed al suo lavoro, con grande rispetto, affetto e riconoscenza.
La Famiglia Levi proviene da Fraciscio di Campodolcino in Val San Giacomo o Valle Spluga, localmente chiamata “Val di Giüst”. Per almeno tre secoli Fraciscio e Campodolcino hanno esportato distillatori meglio conosciuti come “grapat”.
Antichi documenti parlano di “grapat” o “Lambichin” che già nel 1700 partivano all’inizio dell’autunno da Fraciscio con una carriola attrezzata da alambicco per spostarsi nelle zone di produzione vinicola, molti di costoro si trasferirono definitivamente sui luoghi di lavoro e impiantarono delle vere distillerie. Secondo una ricerca storica condotta da Gregorio Luigi Fanetti tra Lombardia, Piemonte, Val d’Aosta, Veneto ed Emilia, erano più di 180 le distillerie fondate da valligiani della Val di Giüst.
Tra tutte, quelle dei Della Morte seguite dai Ghelfi, Fanetti, Frantoli, Gadola, Levi, Curti, Trussoni, Vener, Andreoli, Della Bella, Fustella, Scaramellini ed infine i Francoli che lasciarono Campodolcino solo nel 1951 per Ghemme in Piemonte.
Nella famiglia di Angelo Levi (nonno di Romano)
5 dei nove figli sono stati distillatori:
1 Guglielmo ad Aosta
2 Eugenio a Cortemilia (CN) ancora attiva con il nome Castelli
3 Serafino, padre di Romano e Lidia a Neive (CN)
4 Rosa sposò Luigi Levi distillatore a San Colombano al Lambro (MI)
5 Egidio distillatore a Settimo Vittone (TO)
“……Chi faceva la grappa, erano per lo più uomini che d’estate stavano in montagna con gli animali e d’inverno, ricoverate le bestie in stalla, si dovevano trovare un altro lavoro, spesso inventandoselo. Questi “grapat“ avevano imparato il mestiere distillando le vinacce delle uve spremute della vicina Valtellina. Mio padre Serafino, come altri cinque dei suoi nove fratelli, era uno loro”.
Levi Serafino scelse Neive e nel 1925 fondò la sua distilleria a fuoco diretto.
Sposò Balbo Teresina e dal matrimonio nacquero due figli Lidia e Romano.
Serafino morì nel 1933 lasciando i due figli piccoli e la moglie che continuò a mandare avanti la distilleria fino alla sua morte sotto un bombardamento nel 1945. Romano Levi aveva allora 17 anni ed era studente ad Alba.
Decise di smettere gli studi e, con l’aiuto della sorella Lidia, continuò la distillazione.
“…per me ha giovato molto (la presenza e l’aiuto della sorella Lidia) perché certamente non sarei qui a questo punto” “…sì è severa anche con me e quindi mi è stata molto utile nel mio lavoro. Lavora anche lei per fare le erbe che sono opere d’arte nelle bottiglie. Per me è stata molto utile.”
Inizia quindi la vita da “Grapat” di Romano Levi, inizia il rapporto difficile e quotidiano con l’alambicco a fuoco diretto.
“… allora ce n’erano tanti … di solito le distillerie funzionavano a fuoco diretto. Un apparecchio Malba, perché io sentivo sempre dire Malba, poi ho visto da Bocchino che ha la sala con alambicchi in vista, c’era Malba Giovanni Ricostruzioni Meccaniche Asti o Malba Fratelli, qualcosa del genere, e il nostro dovrebbe essere un apparecchio Malba … per me, che ora credo di poter dire di conoscerlo abbastanza bene se non benissimo, perché sono 46 anni che distillo, è un apparecchio che va molto bene, è un gioiellino, un giocattolo, che se uno gli dà ciò che vuole, ciò che è necessario, se non lo spinge, se si adatta a lui, lui fa miracoli … io penso che anche questo Malba Giovanni fosse un distillatore perché l’hanno fatto molto bene questo apparecchio; oltre che idearlo, se l’hanno ideato loro, l’hanno fatto molto bene”.
La grappa prodotta veniva in parte imbottigliata ed in parte venduta in botti o damigiane a commercianti o ad altri distillatori o fabbriche di liquori.
“…le prime etichette a mano sono nate nel 1962/63 quando il nostro amico Giorgio Adriano di Neive, che aveva una casa del vino a Sanremo e comperava la grappa da noi, ha detto: “per me le etichette le strappate dalla carta, poi ci scrivete a mano così e così … non scritte da me ma da una persona anziana, la signora Sabina ed era dedicata ad una botte che abbiamo chiamata “Grappa nera dimenticata”, era scura, scura, tanti anni era rimasta nella botte. Poi questa signora, le prime 50-100 etichette le ha fatte, poi si è stancata ed allora ho dovuto scrivere io”.
La distilleria chiude il ciclo vegetativo della vite. La vite, dà l’uva e poi il vino. Restano le vinacce che con la distillazione danno la grappa.
Le vinacce distillate, una volta secche danno buon fuoco per la distilleria.
Alla fine, la cenere viene dispersa nei filari, come concime, per dare forza alla vite, per produrre nuovamente uva, alla fine nulla è sprecato.
“ … il lavoro che faccio che è un lavoro normale, come quello di un contadino qualunque … un sottoprodotto della vigna, dell’uva che mi dà da vivere, un omaggio, una lode alla natura, alla vite che dà sempre qualcosa di buono, anche la vinaccia che è una materia povera eppure dà da vivere a noi, dà la grappa che è un prodotto che vive negli anni e nei secoli e dà ancora da far fuoco nel forno, e dà ancora sé stessa perché la cenere fa della buona terra”.